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Villon imburrò una fetta di pane tostato e lesse il titolo sul quotidiano del mattino: NESSUN INDIZIO SULL'ATTENTATO CONTRO L'AEREO DEL PRIMO MINISTRO. Foss Gly aveva cancellato bene le proprie tracce. Da parte sua, Villon aveva preso direttamente in mano le indagini, consapevole che la pista si andava raffreddando di giorno in giorno. Aveva sfruttato con abilità il potere che gli derivava dalla carica per sviare i sospetti di eventuali collegamenti tra i terroristi e il movimento clandestino che lui capeggiava, sempre che l'inchiesta non avesse portato alla luce prove inoppugnabili. Ma fino ad allora tutto prometteva di andare liscio. La sua soddisfazione fu raggelata nel momento in cui il suo pensiero ritornò a Gly. Quell'uomo era un mercenario feroce che conosceva un unico dio, un prezzo sostanzioso per la sua opera. Nessuno era in grado di prevedere le azioni di un cane idrofobo come lui, se non lo si fosse tenuto stretto al guinzaglio.
Alla porta della saletta riservata alla prima colazione si affacciò la moglie di Villon, una bella bruna con gli occhi azzurri. «Una telefonata per te», disse.
Lui si alzò, entrò nello studio attiguo e chiuse la porta dietro di sé.
«Pronto.»
«Sono il sovrintendente McComb, signor ministro», annunciò un vocione profondo come un pozzo di miniera. «Spero di non averla disturbata mentre faceva colazione.»
«No, per niente», mentì Villon. «Lei è il funzionario addetto agli archivi della polizia?»
«Sissignore. Ho qui davanti a me, sulla scrivania, il dossier su Max Roubaix da lei richiesto. Vuole che ne faccia fare una copia e gliela invii al suo ufficio?»
«Non occorre, grazie. È sufficiente che mi riferisca adesso, per telefono, i punti essenziali.»
«Ma il dossier è piuttosto voluminoso», tentò di tergiversare McComb.
«Mi basta un riassunto che non le porterà via più di cinque minuti», replicò Villon, con un sogghigno. Non stentava a immaginare l'umore del suo interlocutore, certamente arrabbiatissimo per aver dovuto lasciare il letto e la moglie, rinunciando al piacere d'una lunga dormita domenicale, per obbedire al capriccio d'un ministro e mettersi a frugare tra vecchi scartafacci polverosi.
«I fogli, vecchi di oltre cent'anni, sono manoscritti e un tantino difficili da leggere, ma procurerò di fare del mio meglio. Dunque vediamo un po'... C'è ben poco sull'infanzia di Roubaix. Niente data di nascita, dicono che era orfano e che fu sballottato da una famiglia adottiva all'altra. Ebbe da fare una prima volta con la giustizia a dodici anni, per aver ucciso dei polli.»
«Polli, ha detto?»
«Li decapitava all'ingrosso, con le cesoie. Indennizzò l'agricoltore al quale aveva arrecato il danno lavorando per lui. Poi si trasferì in una piccola città vicina e si specializzò in cavalli. Ebbe il tempo di sgozzare la metà di un branco prima che lo arrestassero.»
«Uno psicopatico precoce con istinti sanguinari.»
«Lo dichiararono semplicemente l'idiota del villaggio», disse McComb.
«Il termine psicopatico non faceva parte del loro dizionario. Non capirono che un ragazzo capace di massacrare gli animali per il gusto di farlo era soltanto a un passo dall'uccidere nello stesso modo gli esseri umani. Roubaix si guadagnò una condanna a due anni di prigione, ma siccome era appena quattordicenne lo affidarono al capo della polizia che se lo prese in casa, facendolo lavorare da giardiniere e da domestico. Poco dopo il suo rilascio, nelle campagne circostanti incominciarono a scoprire i cadaveri di vagabondi e di ubriaconi, tutti quanti strangolati.»
«Dove succedevano questi fattacci?»
«Entro un raggio di ottanta chilometri dall'odierna città di Moose Jaw, nella provincia di Saskatchewan.»
«Immagino che avessero arrestato Roubaix come indiziato principale.»
«Durante il secolo scorso la polizia non agiva con la rapidità di oggi», riconobbe McComb. «Quando riuscirono a inchiodarlo ai suoi reati, Roubaix era già scappato nelle foreste vergini dei Territori di Nordovest; rispuntò soltanto nel 1885, al tempo della rivolta di Riel.»
«Il movimento insurrezionale promosso dai discendenti dei mercanti francesi che si erano uniti alle donne indiane?»
«Li chiamavano i 'meticci'. Louis Riel ne era il capo. Roubaix si unì alle sue forze e diventò addirittura una leggenda, qui in Canada, per il gran numero di persone uccise.»
«E che cosa si sa di lui, durante il tempo in cui era praticamente scomparso?»
«Sei anni per i quali manca qualsiasi dato. Ci fu un buon numero di casi d'omicidio insoluti attribuiti a lui, ma senza prove valide o deposizioni di testimoni oculari. C'era solo un elemento caratteristico che indicava il tocco di Roubaix.»
«Quale elemento?»
«Quasi tutte le vittime erano morte per strangolamento», spiegò McComb. «Roubaix aveva rinunciato a servirsi del coltello. E nessuno s'indignava troppo, a quel tempo, per la sorte di quei poveracci. La gente aveva un codice morale diverso e il delinquente che toglieva di mezzo i reietti era considerato poco meno che un benefattore della comunità.»
«Se non ricordo male, Roubaix uccise moltissimi poliziotti durante la ribellione dei seguaci di Riel.»
«Tredici, per l'esattezza.»
«Doveva essere un uomo di una robustezza eccezionale.»
«No, al contrario», obiettò McComb. «Dalle descrizioni risulta fosse debole di costituzione e piuttosto malaticcio. Il medico che lo visitò prima che fosse giustiziato attestò che Roubaix era allo stremo, divorato dalla consunzione. Oggi diremmo che era tubercolotico all'ultimo stadio.»
«Ma com'era possibile che una mezza cartuccia come lui sopraffacesse uomini addestrati al combattimento a corpo a corpo?» chiese Villon.
«Si serviva di una sorta di garrotta fatta con una striscia di pelle non conciata e grossa quanto un fil di ferro. Un'arma letale, che segava, letteralmente, la gola delle vittime. Le coglieva di sorpresa, in genere mentre dormivano. Lei, signor ministro, è famoso nei circoli atletici per la grande vigoria fisica, eppure oso dire che sua moglie riuscirebbe a ucciderla per strangolamento se, di notte, mentre lei dorme, le passasse la garrotta di Roubaix intorno al collo.»
«Parla come se la garrotta esistesse ancora.»
«Esiste, esiste. Se lo desidera, può vederla nel museo della polizia, esposta nella sezione criminale. Analogamente a molti altri assassini che prediligono un'arma particolare, anche Roubaix teneva in gran conto la sua garrotta. Le impugnature di legno alle quali è attaccata la correggia sono scolpite a mano, a forma di testa di lupo. Si tratta di piccoli capolavori, nel loro genere.»
«Può darsi che un giorno o l'altro venga a darci un'occhiata, impegni ufficiali permettendo», promise Villon, senza troppo entusiasmo. Rifletté un momento, tentando di dare un significato alle istruzioni che Sarveux aveva impartito a Danielle, poche ore dopo l'incidente. Non ne venne a capo. Un enigma cifrato. Volle tentare un'altra strada. «Se lei dovesse descrivere concisamente il caso Roubaix, come lo riassumerebbe in un'unica frase?»
«Non sono sicuro di aver capito bene», rispose McComb.
«Formulerò la domanda diversamente. Che cos'era, secondo lei, Max Roubaix?»
Seguì, dall'altra parte, un breve silenzio. A Villon pareva quasi di sentire il lavorio del cervello del suo interlocutore. Alla fine, il poliziotto rispose: «Mi sembra che lo si potrebbe definire un maniaco omicida con la fissazione dello strangolamento».
Villon passò dall'improvvisa tensione al rilassamento. «Grazie, signor sovrintendente.»
«Se le posso essere ancora utile...»
«No, mi ha fatto un grande favore e gliene sono riconoscente.» Villon depose lentamente la cornetta sulla forcella. Con gli occhi fissi nel vuoto, si raffigurava un uomo malaticcio in atto di torcere una garrotta. L'espressione di smarrito sbalordimento sulla faccia della preda colta al laccio, un ultimo barlume di comprensione negli occhi che uscivano dalle orbite prima che cessassero di vedere per sempre... Le parole dette da Sarveux alla moglie nel vaneggiamento del delirio incominciavano ad acquistare una parvenza di significato.